La “popolarità” di cui gode l’autismo ha finito per mettere in secondo piano alcune malattie di difficile diagnosi, spesso collocabili al confine con l’autismo ma non esposte alla stessa attenzione mediatica e spesso ai margini della ricerca scientifica e farmacologica. Tra queste ad esempio la sindrome di Rett che, assieme ad altri disturbi – come l’Asperger, quelli definiti “pervasivi dello sviluppo non altrimenti specificati”, le sindromi disintegrative dell’infanzia e l’autismo atipico – è stata esclusa dalla classificazione del cosiddetto “spettro” autistico. Si tratta di malattie di forte impatto sul sistema socio-sanitario e con grandi implicazioni sulle relazioni umane, se si pensa ad esempio al coinvolgimento delle famiglie, al ruolo degli operatori e a quello del sistema scolastico. Di fondamentale importanza nel trattare la materia, quindi, è l’approccio multidisciplinare. In altri termini, chi si occupa di queste malattie deve considerare non solo l’aspetto medico e farmacologico ma anche, e forse soprattutto, gli aspetti umani, sociali, psicologici e relazionali che riguardano i malati, le famiglie e le persone che a vario titolo entrano in contatto con loro.
È questo l’approccio adottato dal viareggino Giorgio Pini, neuropsichiatra infantile esperto di riabilitazione dell’età evolutiva, nonché direttore scientifico della fondazione Tiamo, nel libro da lui scritto “Bimbe rare, rarissime, anzi uniche”, appena pubblicato da Pezzini editore (il libro si può acquistare online nel sito www.pezzinieditore.com).
Le bimbe rare del titolo alludono agli sguardi delle giovani pazienti colpite dalla sindrome di Rett. “Bimbe dagli occhi belli”, le definiva il professor Andreas Rett, il vecchio medico viennese che trent’anni fa descrisse per la prima volta un gruppo di bambine che presentavano sintomi analoghi. “Bimbe che conservano una vivacità dello sguardo, che sembrano parlare con gli occhi, anche quando la malattia progredisce nel tempo”. Il libro narra le loro storie attingendo all’ampia casistica che ha arricchito la carriera e l’umanità dell’autore. La parte scientifica viene trattata, con competenza e semplicità, solo nella prima parte del libro. Poi viene lasciato spazio agli incontri, agli scambi e al patrimonio di emozioni racchiuso in ognuna di quelle storie. L’ultima parte del libro riporta gli insegnamenti da trarre, le proposte da avanzare e le esperienze già realizzate per venire incontro ai bisogni delle pazienti e delle loro famiglie, prima di giungere alla conclusione efficacemente riassunta nel titolo dell’ultimo capitolo: “Elogio dell’unicità dell’essere”.
Merito del libro è avere descritto tutto ciò in modo semplice e diretto, per un pubblico di addetti ai lavori (medici, operatori sanitari, istituzioni) e di famiglie ma anche per i lettori in senso più ampio che abbiano voglia di conoscere storie e di emozionarsi. Perché dietro ogni sguardo di bambina c’è sempre un po’ della nostra vita.