La lettera sottoscritta da un gruppo di giuristi e avvocati e rivolta al Presidente del Consiglio solleva ancora una volta alcuni temi che sono stati ripetutamente discussi nelle ultime settimane, e cioè presunte gravi violazioni dei diritti costituzionali da parte del governo. Pensiamo che sia importante replicare per evitare che anche questa polemica si trasformi in un “sentire comune” di parte dell’opinione pubblica e che vanifichi le indispensabili iniziative volte a contenere l’epidemia. A rispondere sono un epidemiologo coinvolto nella organizzazione della fase 2 nella Regione Piemonte, e un costituzionalista che ha già avuto occasione di esprimersi sugli stessi temi. Dagli estensori della lettera vengono sollevati gravi dubbi di costituzionalità nella risposta all’epidemia COVID-19, poiché verrebbero violati diritti fondamentali della persona e il principio di proporzionalità. I provvedimenti del governo, secondo i firmatari, ledono tra le altre la libertà di associazione (art 17 della Costituzione), di professione della fede (art 19), il diritto allo studio (33-34), il diritto di espressione del pensiero (art. 21), e i diritti inalienabili della persona (art 2).
Una situazione epidemiologia eccezionale
Dal punto di vista epidemiologico il lockdown si è rivelato un grande esperimento sociale che ha ottenuto quello cui mirava, e cioè una inversione della curva epidemica. Quanto attuato in Italia è poi stato messo in pratica – con differenze e eccezioni – in quasi tutti i paesi. I firmatari della lettera sembrano ignorare l’eccezionalità della situazione epidemiologica, di fronte alla quale non ci si trovava in pratica dal 1918, cioè dalla Spagnola: un virus nuovo, in una popolazione naive (priva di immunità), con numero di riproduzione di 2.5 (2.5 contagi per ogni infetto) e una letalità del 3%. Se prendiamo questi valori e facciamo qualche proiezione, come fece a febbraio Neil Ferguson nei suoi primi rapporti, otteniamo che matematicamente ci saremmo attese in Italia centinaia di migliaia di morti nell’arco di due anni.
Sappiamo poi che la realtà non è questa, perché per fortuna le persone si proteggono e le istituzioni prendono provvedimenti. Ma si è trattato di una situazione eccezionale legata all’impreparazione che ha preceduto l’epidemia, e alla necessità di una risposta molto rapida. Ricordiamo che l’impreparazione è stata comune a quasi tutto il mondo negli ultimi anni, con l’eccezione degli Stati Uniti di Obama dopo Ebola, quando il Presidente lanciò un piano mondiale di prevenzione delle epidemie poi smantellato da Trump. Questo è il problema di fondo. Si fa notare che la SARS è stata contenuta senza originare un numero enorme di vittime, ma non si considera che i malati di SARS erano contagiosi nella fase più acuta della malattia (in seconda settimana) ed erano generalmente gravi, cioè facilmente riconoscibili e isolabili. COVID-19 è una malattia estremamente subdola, perché un numero molto elevato – dal 20% al 50% – di malati (contagiosi) sono asintomatici e dunque non riconoscibili.
Altre argomentazioni dei firmatari sono epidemiologicamente insostenibili, per esempio che non vi sia un link epidemiologico tra l’affollamento dei navigli e delle piste da sci a febbraio e l’epidemia di qualche settimana dopo. Forse nessuno ha dimostrato una associazione così specifica e puntuale, ma la relazione causale tra contatti stretti, sovraffollamento e diffusione dell’epidemia è evidente. Che le misure adottate abbiano rappresentato una colossale delega alla popolazione delle misure di sanità pubblica è di nuovo parzialmente falso. Si è chiesto alla popolazione l’adozione di misure estreme, in un contesto in cui le istituzioni hanno dovuto agire con urgenza, ed è ingeneroso ignorare l’insistenza sul tracciamento attivo come si esprime oggi nei decreti regionali, e anche l’eccezionale mobilitazione di medici e infermieri del servizio sanitario nazionale, pur sempre un’istituzione statale.
Per quanto riguarda la famigerata app Immuni, si può forse dire che non si capisce al momento a che cosa serva, ma che leda le libertà individuali ci pare un argomento capzioso, sempre che i dati vengano tramessi e usati in forma anonima (di qui la limitata utilità per il tracciamento) e vengano distrutti a fine epidemia. Niente di paragonabile a ciò che in una situazione di libero mercato tutti sembra accettare, e cioè che Google prelevi quotidianamente dati dai nostri telefoni, con garanzie molto minori di quelle offerte per la app Immuni.
I provvedimenti presi non sono anticostituzionali
Gli aspetti giuridici delle misure governative, sui quali la schiera dei giuristi e avvocati, forti della propria competenza, richiamano allarmati l’attenzione, devono essere considerati tenendo conto della situazione di emergenza sanitaria in cui esse sono state adottate, situazione della quale i firmatari del documento sembrano sottostimare la gravità. Emergenza è l’insorgere di situazioni che le norme giuridiche non prevedono, o per imprevedibilità o per insipienza del legislatore. L’insorgenza di imprevisti richiede ai giuristi-commentatori un atteggiamento che non è loro consueto: invece di procedere dall’astratto al concreto, procedere al contrario, dal concreto all’astratto. Altrimenti, il diritto si trasforma in artificio e le argomentazioni giuridiche evaporano in elucubrazioni sganciate dalla vita.
Necessitas non habet legem: l’emergenza è da sempre il passe-partout delle aspirazioni degli autocrati che intendono sbarazzarsi dei diritti e della legalità. Ma non sempre è così. C’è uno “stato di necessità” proclamato proprio al contrario, per circoscrivere alcuni diritti al fine di ristabilire le condizioni del loro corso normale. Siamo su un crinale che le Costituzioni democratiche normalmente non ignorano, stabilendo cautele affinché si rimanga nella seconda ipotesi e non si debordi nell’uso dell’emergenza per motivi e finalità politiche. Così fa anche la nostra Costituzione.
Non è vero, contrariamente a ciò che talora si dice, ch’essa ignori le situazioni d’emergenza del secondo tipo (quelle del primo tipo sfuggono evidentemente alla forza del diritto e appartengono alla forza del fatto). Sono previsti in generale i “casi straordinari di necessità e urgenza” che abilitano il governo ad adottare, sotto la sua responsabilità, “provvedimenti provvisori” con forza di legge. Tali casi sono specificati in relazione alle libertà di circolazione e riunione, libertà che possono essere limitate per motivi di sanità, sicurezza e incolumità. Quindi, situazioni di emergenza che incidono su alcune libertà sono previste dalla Costituzione, come autorizzazione non in bianco, ma strettamente condizionata allo scopo: che la difesa della salute e persino della vita sia uno di questi scopi è fuori discussione e che le misure previste debbano servire a questi è altrettanto fuori discussione. Sarebbero incostituzionali se servissero ad altro (ad es. a fini politici) o incidessero su libertà diverse, come quella di manifestazione del pensiero, o se fossero irragionevoli e sproporzionati.
I giuristi critici si appellano al fatto che la limitazione della libertà di circolazione e riunione incide anche su altre libertà, come quelle economiche, di relazione sociale, di esercizio del culto religioso, di insegnamento e apprendimento, di manifestazione politica in pubblico, ecc. Ma qualunque limitazione della circolazione e delle riunioni ha conseguenze di questo tipo. Sarebbero limitazioni incostituzionali se mirassero primariamente a questi scopi, senza collegamento con la difesa della salute pubblica e della vita, e si protraessero oltre le circostanze che le legittimano. Poiché così, allo stato, non è, è evidente che il perseguimento del fine primario implica o contiene necessariamente, come il meno sta nel più e come conseguenza, la compressione temporanea di altre libertà, entro i limiti della ragionevolezza. Essa esige che si cerchino modalità per cui tali ricadute su altre libertà siano il più possibile circoscritte ed esige altresì che le misure adottate siano costantemente “monitorate” alla stregua dell’evolversi dell’emergenza sanitaria, con l’attenzione che deve essere prestata, più che alle ragioni della politica, alle ragioni della scienza epidemiologica.
Un altro riferimento completamente fuori quadro è alla disciplina costituzionale della “libertà personale” che la Costituzione ammette possa avvenire solo caso per caso per atto motivato dell’autorità giudiziaria. Ci immaginiamo che cosa vorrebbe dire applicare questa norma al blocco generalizzato della circolazione? Quella norma, che ha a che vedere con la repressione dei reati, non si applica a casi come il nostro, che sono disciplinati dalle norme specifiche dettate per altre libertà (circolazione e riunione, per l’appunto).
Infine, l’ultimo gruppo di critiche riguarda il rispetto del principio di legalità e la legittimità degli atti amministrativi del governo, i dpcm. È una questione di “fonti del diritto” sulla quale i giuristi sono capaci di meravigliose argomentazioni. Ciò che è chiaro è che i limiti ai diritti sono per così dire “coperti” dalla riserva di legge. Nel nostro caso (a parte gli interventi iniziali, poi “sanati”), la copertura è contenuta nei due decreti-legge su cui la serie dei decreti governativi si sono basati, che valgono come leggi (e devono essere convertiti in legge entro 60 giorni) e possono e devono essere impiegati quando c’è la necessità di agire tempestivamente di fronte alle emergenze.
Tali decreti che hanno il valore di legge autorizzano il governo ad agire con propri decreti, nei limiti prescritti di finalità, di contenuto e di tempo. Non tutto, evidentemente, sta nella legge (e nei decreti che ne tengono il posto), ma il fondamento legislativo esiste e, qualora il governo approfittasse dei poteri ricevuti per andare oltre, non mancano i rimedi, davanti ai giudici fino alla Corte costituzionale, e nelle aule parlamentari. Le Camere possono chiamare il governo in qualsiasi tempo ad “assumersi la responsabilità” delle scelte fatte, con eventuali conseguenze sanzionatorie; possono abrogare i decreti-legge; possono sostituire le misure adottate nei dpcm con altre misure deliberate nell’ordinario procedimento legislativo. Tutto questo è teoricamente possibile; praticamente è impensabile che decisioni del genere possano essere prese razionalmente e tempestivamente in quella sede, il che costituisce la riprova del ruolo principale che, sotto tutti i mezzi di controllo disponibili, deve essere riconosciuto al governo.
Naturalmente, il merito e l’opportunità delle singole misure è e deve essere oggetto della più libera discussione e critica. Ma non è questo il cuore della critica contenuta nella presa di posizione dei giuristi e degli avvocati che contestano in toto l’azione del governo e protestano altresì per la sospensione dell’attività dei tribunali: sospensione che in realtà sospensione non è, ma è rinvio di trattazione delle cause meno urgenti e organizzazione delle udienze con modalità a distanza, sulle quali si può e si deve discutere. Ma ciò costituisce interruzione di una funzione essenziale dello Stato? Se fosse tale, che dire degli “scioperi degli avvocati” messi in atto numerose volte in passato?
Ci sono anche alcuni punti su cui condividiamo il punto di vista dei 200 avvocati, anche se ci siamo soffermati su quelli a nostro avviso più discutibili. Per esempio, le scarne indicazioni volte a giustificare un provvedimento cruciale come la chiusura delle scuole. Il documento che ha presentato 92 scenari a supporto delle decisioni governative (denominato “Valutazione delle politiche di riapertura”) includeva solo 2 scenari a favore di una apertura delle scuole, e questo avrebbe certamente meritato una maggiore discussione.
In generale, condividiamo la preoccupazione degli avvocati per il fatto che un documento così importante, usato a supporto di decisioni molto incisive, non sia mai stato ufficialmente pubblicato. Questo ha certamente impoverito il dibattito pubblico, il che non dovrebbe più succedere nelle prossime settimane. Ancora una volta, ci confrontiamo con il difficile rapporto tra scienza, decisione politica e democrazia.
fonte: SCIENZA IN RETE