Nel marzo 2020, a seguito del lockdown dovuto alla pandemia da Covid-19, in emergenza, nel Dipartimento di Salute Mentale Dipendenze Patologiche è stato attivato lo Smart working per 71 operatori di diverse qualifiche, logopedisti, psicologi, tecnici, neuropsichiatri ed altri ai quali è stato poi inviato un questionario per valutare l’esperienza. Ha risposto il 94,3% e dal campione costituito prevalentemente da donne.
I risultati segnalano un elevato livello di gradimento nello svolgimento a domicilio di attività come relazioni, siglatura di test, preparazione di materiali. Anche le attività di rete, di contatto con altri sembrano essere svolte con un significativo livello di efficacia. I contatti fra colleghi è aumentato e tuttavia il 78% ritiene che sia necessario effettuare incontri di equipe in vivo.
Il lavoro con utenti e familiari attuato a distanza, tramite telefono o via web segnala un significativo gradimento per colloqui, videochiamate, psicoeducazione e teleriabilitazione. Emerge tuttavia che vi è una quota di persone non raggiungibili per carenze nelle dotazioni tecnologiche, isolamento sociale, età inferiore ai 6 anni, pazienti con disturbi cognitivi e/o della comunicazione, persone poco accessibili e non complianti.
L’esperienza quindi mostra punti di forza e limiti e tuttavia lo smart working può inserirsi con indicazioni precise nelle attività di servizio e configurare uno sviluppo della relazione e del patto professionale. (parole chiave: Smart working, pandemia Covid-19, lavoro a distanza, salute mentale, operatori sanitari)