Quello che si poteva guardare dalla finestra di casa durante il lockdown – un giardino fiorito o muro di rossi mattoni scrostati – è il simbolo della condizione di diseguaglianza sociale che la pandemia è riuscita ovunque a far dilatare.
Su Facebook c’è un gruppo che si chiama “View from my window[1]”, la vista dalla mia finestra. È stato creato a fine marzo, quando diversi paesi nel mondo avevano già attuato il lockdown ed altri vi si avvicinavano. L’intento era quello di permettere agli iscritti di connettersi l’uno all’altro e condividere alcuni piccoli aspetti della propria vita casalinga durante le misure di restrizione. Dal 22 di marzo in poi, gli iscritti, che ad oggi sono più di due milioni e 320 mila, condividono ciò che vedono dalla propria finestra.
Dalle finestre alle disuguaglianze
A dire il vero, a giudicare dai giardini, le viste panoramiche, i mari e le scogliere, i boschi e le praterie, il gruppo sembra un catalogo Airbnb di appartamenti dalle quattro stelle in su. Eppure, non manca chi non esita a pubblicare foto che ritraggono viste su quartieri degradati o finestre che si affacciano direttamente su muri scrostati. È a partire da queste immagini tutt’altro che invitanti che viene spontaneo interrogarsi sulle diverse condizioni che le persone in tutto il mondo si trovano a vivere il periodo del lockdown: per alcuni sembra una vacanza, per altri una prigione.
E se parliamo di disuguaglianze, uno scenario di mattoni[2] come unica prospettiva di un affaccio domestico non è che la punta dell’iceberg.
Questo stesso blog aveva pubblicato un primo post intitolato “Covid-19 in USA: diseguaglianze su base etnica” il 16 aprile scorso, dove si dava conto di come le contee Chicago, Detroit, New York e la Louisiana a maggioranza di colore avessero un tasso di infezioni di tre volte più alto rispetto alle altre e quasi sei volte il tasso di decessi rispetto alle contee in cui i residenti bianchi sono la maggioranza. A questo ha fatto seguito, quattro giorni dopo, sempre su queste pagine virtuali, “Il virus iniquo”, dove veniva preso in considerazione, in ottica di disuguaglianze, il ruolo delle assicurazioni sanitarie, delle condizioni socio-abitative, i sistemi educativi, le comunità immigrate e le minoranze etniche e sociali.
In questi due post si intravede gran parte del resto dell’iceberg, lo stesso su cui qualche giorno prima avevano puntato i riflettori importanti testate giornalistiche, come la CNN (“Come i molto ricchi affrontano in modo differente il Covid-19”, il 6 aprile[3] cui faceva da controcanto il Guardian (“Il virus della disuguaglianza: come la pandemia colpisce i più poveri d’America”, 9 aprile[4]). Di divisione sociale del lavoro e della presenza di malattie croniche legate alla posizione sociale avevano parlato il 7 aprile Giuseppe Costa e Antonio Schizzerotto su Lavoce.info[5], mentre il British Medical Journal, che aveva anticipato il problema delle disuguaglianze già il mese precedente in riferimento alla situazione USA (“Il prezzo doloroso di ignorare le diseguaglianze di salute”[6]), ritorna sugli aspetti etnici.
Dalle disuguaglianze alle etnie
L’articolo del 17 aprile del BMJ dava conto[7] dei dati pubblicati il 10 dello stesso mese dall’Intensive Care National Audit and Research Centre. Secondo il centro di ricerca, su 3883 pazienti inglesi positivi a Covid-19 il 14% erano asiatici e il 12% “black”; la percentuale totale era quindi quasi il doppio di quella rappresentata dalle minoranze etniche (14%) sulla popolazione britannica. La questione etnica, dibattuta in diversi contesti per tutto il mese di aprile e oltre, viene sintetizzata l’11 maggio dal Journal of American Medical Association. Il JAMA, interpretando Covid-19 come una lente di ingrandimento[8] sull’ampia pandemia delle disparità etnico/razziali nella salute – in questo caso statunitense – ne invita all’abbattimento della curva attraverso una maggiore consapevolezza diffusa sul problema nonché una maggior chiarezza sui suoi determinanti.
Dalle etnie al lavoro
Uno di questi determinanti è sicuramente il tipo di lavoro. Sul Manifesto, il Primo maggio, in relazione alle ipotesi di riapertura degli impianti di lavorazione delle carni in USA, si legge: “Le decisioni di costringere i lavoratori, in particolare le minoranze etniche che fanno i lavori più pericolosi, a tornare negli stabilimenti dividono brutalmente gli americani in due gruppi: quello che ha il potere di controllare la propria esposizione all’epidemia grazie al telelavoro e l’altro, ben più numeroso, deve scegliere tra potenziale malattia e collasso dell’economia familiare[9].” Il 12 maggio, il British Medical Journal[10] a partire dai dati dell’Office for National Statistics (ONS) rileva come gli uomini occupati in attività che richiedono un livello di competenze più basso (come ad esempio per il settore delle costruzioni e delle pulizie) siano tendenzialmente maggiormente esposti alla mortalità per Covid-19. Il tasso di mortalità per costoro risulta infatti di 21,4 decessi per centomila abitanti, più del doppio dei valori medi per gli uomini in età lavorativa.
Giuseppe Costa e Antonio Schizzerotto, su Lavoce.info[11], parlano di disuguaglianza di salute socialmente determinata, laddove argomentano le diverse esposizioni al contagio tra “quanti svolgono ruoli dirigenziali e di stampo intellettuale (medici a parte), assieme alla stragrande maggioranza dei colletti bianchi (tecnici ospedalieri e personale infermieristico esclusi),” i quali “possono effettuare il proprio lavoro a casa e, comunque, in ambiente protetto” e i “componenti delle classi operaie, soprattutto quelli con rapporti precari di impiego che lavorano in microimprese a basso livello di sindacalizzazione.” La maggiore esposizione di questi ultimi si configurerebbe come “una conseguenza, forse ineliminabile, della divisione sociale e tecnica del lavoro e della configurazione della struttura produttiva italiana.”
Dal lavoro al contesto economico e sociale
Agli aspetti etnici delle disuguaglianze si sono quindi aggiunti quelli lavorativi. Questi ultimi, in seguito al lockdown, impattano anche sugli aspetti economici e sociali della popolazione. Non è in discussione la drammaticità dell’impatto della pandemia sulle economie nazionali e sui bilanci delle famiglie; basti pensare solo all’allarme[12] lanciato dall’Ufficio parlamentare di bilancio sul calo del 15% del PIL stimato a livello semestrale, cui fa fronte il dato sulle ore di cassa integrazione, triplicate rispetto alla crisi del 2009. Va tuttavia prestata maggiore attenzione alle disuguaglianze di genere innescate dalla pandemia sia a livello epidemiologico, con il virus maggiormente letale nei confronti degli uomini[13] e degli anziani[14], sia a livello sociale, con misure di contenimento dagli effetti più crudeli verso il sacrificio lavorativo e la stessa incolumità domestica delle donne[15]. Per costoro, per fare un esempio allarmante, l’Istat ha certificato un significativo aumento delle segnalazioni di casi di violenza (+95% in un arco di 48 giorni)[16] al numero verde 1522, in Emilia Romagna.
Dal contesto sociale ai luoghi deprivati
Dal contesto sociale alla deprivazione il passo è breve, anche se dobbiamo riattraversare l’Atlantico per rimettere piede in Inghilterra, dove l’Office for National Statistics (ONS) rileva come i deceduti Covid-19 nelle aree maggiormente deprivate di Inghilterra e Galles risulterebbero nel numero di 55,1 persone su centomila, contro i 23,3 decessi nelle aree benestanti[17]. Come a dire che i decessi nelle zone povere avvengono ad una velocità doppia (Figura 1[18]).
“C’è un fattore legato alle abitazioni?”, si chiede Alberto Magnani sul Sole 24 Ore[19]. In effetti è noto che le fasce più povere della popolazione si concentrino in quartieri più densamente popolati dove il contagio ha più possibilità di diffusione. Nell’articolo viene citata un’analisi secondo cui, in Italia, “i cittadini che rientrano nel 10% delle famiglie con redditi più elevati hanno a disposizione una media di quasi 76 metri quadri pro capite. Quelli che rientrano nel 10% più basso si fermano all’esatta metà, 33 metri circa pro capite. Le abitazioni più ampie, e quindi più costose, sono occupate da inquilini con un grado di istruzione superiore e impiegati in lavori ad alto reddito, in larga parte convertibili in forme di smart-working.”
Dai luoghi deprivati alle finestre
Leggere di abitazioni ampie e costose che si contrappongono ad altre, dove i metri a disposizione pro-capite corrispondono ad una stanza di dimensione poco maggiore ai sei metri per cinque, ci fa tornare in mente la domanda iniziale: cosa vedono le persone dalla propria finestra durante il lockdown?
Quei numeri citati fino ad ora sono sicuramente importanti, compongono indicatori che riflettono le interferenze di numerose variabili dagli andamenti complessi e schizofrenici a seconda degli specifici domini delle disuguaglianze in cui si muovono. Ma quei numeri rappresentano anche vite. Vite stravolte dalle misure di contenimento e minacciate direttamente dalla malattia, costrette a proteggersi con ogni accorgimento dagli agenti infettivi e cercare di rimanere al sicuro, per quanto possibile o quantomeno auspicabile, tra le mura di casa. E qui attendere, resistere, immaginando la nuova vita che ci aspetta appena potremo tutti, di nuovo, varcare la porta di casa senza limitazioni. E di tanto in tanto, girando da una stanza all’altra, buttare uno sguardo oltre la finestra.
In alcuni casi si ammirerà la vista di giardini ormai fioriti o di piazze che a breve torneranno a popolarsi, delle vie coi negozi che stanno per riaprire, oppure dei boschi e delle radure rinverdite o di quieti porticcioli. In altri casi, in molti altri casi, la vista sarà sulle finestre del palazzo di fronte, sul grigio cortiletto condominiale, su un vicolo sempre buio, su una strada di periferia, fino ad arrivare, nel peggiore dei casi, alla vista che si infrange su un muro di rossi mattoni scrostati.
Giacomo Galletti, economista e ricercatore sociosanitario presso ARS Toscana, professional coach, tendenzialmente umanista.
Bibliografia
- View from my window
- a View from my window “My view in beautiful New Brunswick, New Jersey this morning. Kayla Baker🌸 “
- Vicky Ward. How the very rich are different in the Covid-19 fight. CNN, 06.04.2020
- McGreal C. The inequality virus: how the pandemic hit America’s poorest. The Guardian, 09.04.2020
- Giuseppe Costa e Antonio Schizzerotto. Se la pandemia accentua le disuguaglianze di salute. Lavoce.info 07.04.20
- Covid-19: The painful price of ignoring health inequities. blogs.bmj.com, 18.o3.2020
- Covid-19: Disproportionate impact on ethnic minority healthcare workers will be explored by government
BMJ 2020;369:m1562 - Williams DR, Cooper LA. COVID-19 and Health Equity—A New Kind of “Herd Immunity”. JAMA. Published online May 11, 2020. doi:10.1001/jama.2020.8051
- Tonello F. Virus delle disuguaglianze, il futuro comincia in America. Il Manifesto, 01.05.2020
- Covid-19: Low skilled men have highest death rate of working age adults. BMJ 2020;369:m1906
- Giuseppe Costa e Antonio Schizzerotto. Se la pandemia accentua le disuguaglianze di salute. Lavoce.info 07.04.20
- Allarme Upb sul Pil: “Calo mai visto, nel primo semestre -15%”. Triplicate le ore di cassa integrazione rispetto alla crisi del 2009.
La Repubblica 21.04.2020 - Coronavirus. Perché è più letale negli uomini? L’analisi dell’Iss. Quotidiano Sanità, 15.04.2020
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Di fronte al SARS-CoV-2 siamo tutti uguali? Recenti Prog Med 2020;111(4):270-271
- Magni C. Disuguaglianze, la pandemia non è cieca: sull’0ccupazione ci vede benissimo e colpisce donne e uomini in modo diverso. La Repubblica, 02.05.2020
- Radighieri M. Violenza sulle donne: allarme rosso. La Repubblica, 14.05.2020
- Calls for health funding to be prioritised as poor bear brunt of Covid-19. The Guardian, 01.05.2020
- Interactive.guim.co.uk: Covid-19 has had a proportionally higher impact on the most deprived areas of England
- Magnani A. Così il coronavirus fa esplodere le disuguaglianze sociali in Italia. IlSole24Ore, 10.04.2020
Il coronavirus fa esplodere le disuguaglianze sociali in Italia. Ristretti.org