Cambiano le famiglie, cambiano le istituzioni? di Manuela Naldini, Cristina Solera

1. Cambiano le famiglie

Mai come nel nuovo millennio la questione di che cosa sia la famiglia, di chi possa accedervi, chi debba regolarla, a che cosa e a chi «serva» è entrata nel dibattito pubblico, sollecitando modifiche sia nel diritto che nelle politiche sociali, interrogando le istituzioni e chi all’interno di esse si interfaccia quotidianamente con le famiglie, in primo luogo operatori, professionisti dei servizi, insegnanti nei servizi educativi e nella scuola.

All’origine di questa attenzione, e dei conflitti e delle insicurezze che la attraversano, vi sono fenomeni diversi (Saraceno, in corso di stampa). Da un lato vi sono i mutamenti avvenuti all’interno della famiglia così come è comunemente intesa, a livello sia demografico sia delle aspettative e dei comportamenti. A partire dalla prima metà degli anni sessanta del Novecento si è assistito infatti alla fine di quella che è stata definita l’«epoca d’oro» della famiglia (Roussel, 1992; Kuijsten, 1996), quando i tassi di matrimonio e di fecondità erano alti, l’instabilità coniugale un fenomeno marginale e la famiglia era basata su una chiara divisione dei ruoli: all’uomo (marito e padre) spettava quello di procacciatore di risorse, alla donna (moglie e madre) il lavoro domestico e familiare (Lappegård, 2014; Mortelmans e al., 2016; Naldini, 2018). Con l’abbassamento della fecondità e l’invecchiamento della popolazione, con il crescente ingresso delle donne nel mercato del lavoro, con l’aumento di separazioni e divorzi (Sobotka e Toulemon, 2008; Olàh, 2015), iniziano a configurarsi nuovi modelli sia di genere che di relazioni intergenerazionali.

Come figli, diventa sempre più diffusa l’esperienza di avere pochi legami orizzontali (pochi fratelli se non nessuno) ma tanti legami verticali (con nonni e anche bisnonni in vita), di avere madri che lavorano e padri più presenti nella cura, così come di avere ad un certo punto del proprio corso di vita genitori separati ed eventualmente nuovi «fratelli/sorelle». Come adulti, sia per gli uomini che per le donne, diventano più comuni le intersezioni tra le sfere di vita, soprattutto tra famiglia e lavoro, tra privato e pubblico, e si diversificano i corsi di vita, con eventi, sequenze e cadenze sempre più eterogenee (Brückner e Mayer, 2005).

Come genitori, si assiste a molteplici trasformazioni solo in parte «interne» alla famiglia (Naldini e al., 2018). Innanzitutto cambiano il se, il quando e il come si diventa genitori: lo si diventa (o no) sempre più per scelta, sempre più tardi e dentro nuove forme familiari (quali convivenze) (Naldini, 2016). Inoltre, si diffonde una nuova «cultura della genitorialità» che richiede un’«intensità» del tutto inedita nel passato (Hays, 1996); essa opera a diversi livelli e mette in luce contraddizioni culturali e sociali evidenti soprattutto sul versante femminile (Faircloth e al., 2013). Alle madri, infatti, non solo è richiesto di investire tempo ed energie illimitate sui figli, ma anche sul mercato del lavoro.

I padri, d’altra parte, sono chiamati a un nuovo coinvolgimento emotivo, a una paternità più intima, che richiede esclusività e contatto fisico con i figli; ma al tempo stesso tendono a non essere considerati come altrettanto capaci delle madri di prendersi cura dei figli, soprattutto se ancora piccoli (Dermott, 2008; Miller, 2011). Anche i rapporti e le identità di genere sono  cambiati, non solo perché è mutata l’idea di «normalità» per quanto riguarda il maschile e il femminile, perché cioè è cambiato cosa ci si attende che gli uomini e le donne, i padri e le madri facciano, ma anche per la nuova capacità negoziale, per la maggiore importanza attribuita all’autonomia, alla realizzazione personale e al benessere individuale nei rapporti di coppia (Giddens, 1992). Inoltre, altre identità sessuali e di genere irrompono nella scena familiare, contribuendo a mettere in discussione l’eterosessualità e l’etero-normatività come fondamento della famiglia, mettendo in crisi la tradizionale complementarietà dei ruoli di genere e le aspettative ad essi associate, nonché disegnando e dando nuovo significato a spazi e relazioni intergenerazionali, tra genitori e figli piccoli, tra figli adulti e genitori, che sfidano le tradizionali gerarchie di genere e sessuali (Bertone, in corso di stampa).

Le famiglie omogenitoriali rappresentano l’espressione più avanzata della metamorfosi che ha investito i modi di fare e intendere i legami familiari; più di altri genitori d’intenzione, quelli omosessuali non solo risultano famiglie «inattese» (cfr. Selmi, Sità e de Cordova in questo numero) ma contribuiscono a creare un panorama di morfologie familiari e di quadri relazionali decisamente vario e articolato (Bosisio e Ronfani, 2015).

Dall’altro lato vi sono i mutamenti avvenuti, per così dire, all’esterno della famiglia, che interrogano la modalità stessa con cui  siamo abituati a identificare la famiglia e le relazioni da cui è costituita. Tra questi mutamenti, dirompenti sono quelli aperti dalle nuove tecnologie riproduttive e dalla nuova legittimità riconosciuta alle relazioni di coppia non basate sul fondamento eterosessuale di famiglia. Il riconoscimento dei diritti alle coppie same sex e soprattutto l’introduzione in diversi paesi del matrimonio tra persone dello stesso sesso, insieme agli scenari aperti  dalle nuove tecnologie riproduttive, hanno contribuito a scompigliare l’assunto che paternità e maternità biologica e sociale, capacità riproduttiva e disponibilità generativa coincidano (Saraceno, 2016a; Grilli, 2019).

Dirompenti sono anche i mutamenti aperti dai processi di globalizzazione, soprattutto dalle migrazioni, che mettono a confronto, sia nei paesi di destinazione che in quelli di origine, modalità diverse di fare e intendere la famiglia, pratiche culturali diverse che impregnano le esperienze intime per quanto riguarda i rapporti di genere e di generazione, nonché per quanto riguarda la rilevanza del rapporto di coppia rispetto a quello della consanguineità. Le esperienze e i nuovi modi di fare famiglia «a distanza», nelle società plurali e transculturali in cui viviamo, interrogano anche i servizi educativi, sociali e sanitari e sfidano i saperi, le culture dominanti occidentali e le pratiche istituzionali di chi è preposto a tutelare l’infanzia su che cosa sia la famiglia, la «buona» maternità e paternità (Saraceno, 2016b). … CONTINUA A LEGGERE L’ARTICOLO SU RPS

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