Il caleidoscopio e le Rsa (promemoria per il #dopocoronavirus). di Massimo Campedelli

1) I dati, territoriali, nazionali e internazionali, indicano con indiscutibile evidenza che le Rsa o similari, nella pandemia Covid-19, hanno rappresentato e rappresentano uno dei punti di maggiore crisi nella crisi. «Secondo le stime nei paesi della regione europea, la metà di coloro che sono morti per Covid-19 erano residenti in strutture di assistenza a lungo termine. Questa è una tragedia umana inimmaginabile […] Questa pandemia ha acceso i riflettori sugli angoli trascurati e sottovalutati della nostra società. In tutta la regione europea, l’assistenza a lungo termine è stata spesso notoriamente trascurata. Ma non dovrebbe essere così. Guardando al futuro, passando a una nuova normalità, abbiamo un chiaro caso di investimento per la creazione di sistemi integrati di assistenza a lungo termine incentrati sulla persona […] vi è una necessità immediata e urgente di ripensare e modificare il modo in cui le strutture di assistenza a lungo termine operano oggi e nei mesi a venire» (Hans Henri P. Kluge 1 ).

2) Tutto ciò, nelle realtà più colpite, soprattutto lombarde, sta determinando conseguenze rilevanti: sul piano giudiziario e dei risarcimenti; su quello gestionale, con l’aumento dei costi legati alla sicurezza degli ospiti e degli operatori; sul clima organizzativo e dei rapporti con il personale; e più in generale sulla reputazione delle strutture. L’inedito rappresentato dalla pandemia e dalla difficoltà nello stimare le sue conseguenze, ha altresì determinato una iniziale sottostima della ricaduta che essa avrebbe avuto proprio in tali strutture e per le popolazioni che ne usufruiscono. In diverse Regioni italiane, il rischio di collasso del sistema sanitario – alias ospedaliero – ha poi spinto verso una ricerca di soluzioni temporanee presso le Rsa e questo ha pesantemente influito sullo scenario appena accennato.

3) A fianco dei casi di malaffare e di mala gestione, su cui giustamente la magistratura deve fare il proprio lavoro, tutti abbiamo davanti agli occhi i drammi vissuti da grandi vecchi già gravemente ammalati; il sovraccarico di stress dei diversi operatori che, con dedizione encomiabile, hanno sopperito nell’emergenza, spesso pagando di persona; ai familiari, soprattutto i congiunti più prossimi (mogli, mariti, figli anziani, ecc.), sottoposti all’interruzione della relazione, in molti casi elemento di senso nella propria quotidianità. Ogni considerazione sulle Rsa deve quindi partire da un profondo rispetto per il dolore da Essi vissuto e/o subito in questo drammatico frangente. È con questo atteggiamento che proponiamo le note che seguono, promemoria su cui eventualmente ritornare a tempo opportuno, a partire dall’ascolto di quanti hanno vissuto direttamente gli eventi.

4) A fronte dei diversi fattori accennati, le soluzioni che vedono impegnati i vari stakeholders – dalla committenza pubblica, alle rappresentanze sindacali dei pazienti e dei lavoratori, ai gestori, alla magistratura, ecc. – sono molteplici. Sul piano economico, insieme alla sostenibilità finanziaria delle realtà direttamente colpite, è possibile prevedere una modifica/riduzione della domanda di residenzialità (e di servizi domiciliari) collegata alla perdita di lavoro dei familiari (soprattutto donne), ovvero un aumento dell’autoproduzione garantita da questi ultimi, peraltro sostenuta dall’incremento dei sussidi economici pubblici. Su quello della sicurezza, visto che saranno da ridefinire i criteri base dei modelli di accreditamento, e dei controlli a cui sottoporre le strutture. In particolare, aumentando la capacità di presa in carico e di assistenza, e potenziando le competenze e la gestione propriamente sanitaria. Si tratterà, più in generale, di potenziare le skills del personale capacitandolo a gestire non solo pazienti con multi-cronicità sempre più complesse, ma anche la maggiore vulnerabilità a infezioniepidemie-pandemie di cui potranno essere vittime.

5) Da una ricognizione random tra i diversi territori, questo approccio, seppur articolato secondo le posizioni degli attori partecipanti al policy making, sembra essere quello verso cui tutti stanno convergendo. In sostanza, davanti a Covid-19, quasi fossimo con gli occhi fissati in un caleidoscopio, la soluzione starebbe nel modificare alcune forme così da trovare un nuovo disegno, ovviamente composto dagli stessi elementi di prima, semplicemente riconfigurati in modo diverso. Nell’ambito di tale riconfigurazione, poi, troviamo riproposte, in alcuni casi neppure aggiornate, posizioni appartenenti alle diverse culture che hanno positivamente segnato l’evoluzione dei servizi sociosanitari nel nostro Paese 2 , ma che, a noi sembra, non fanno i conti con l’inedito e il pregresso rimosso che Covid evidenzia.

6) È possibile e/o auspicabile un diverso punto di vista per interpretare quanto è successo e sta succedendo, e agire di conseguenza? La risposta potrebbe essere positiva, ad una condizione: quella secondo cui Covid 19 sia considerato un drammatico «evento sentinella» 3 del modello di welfare costruito negli ultimi 30-40 anni. Le Rsa, infatti, sono diventate nel corso del tempo, i «terminali della terminalità» dei grandi anziani, potremmo dire «hospice sotto mentite spoglie». Sempre più esse: rispondono a condizioni di co-morbilità gravi; concentrano/riducono il proprio intervento agli ultimi mesi di vita della persona ricoverata; compensano la crisi del welfare familiare nella gestione di questa fase della vita; spesso sono vissute dalle famiglie come «ausili» o come «delegate» di sé stesse; permettono di contenere i costi collettivi – spesa pubblica non monetaria – dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria, vista la compartecipazione delle famiglie, anche se in parte coperta dalla ingente spesa pubblica per trasferimenti monetari.

7) Detto in altri termini, le Rsa rappresentano il punto di convergenza del combinato disposto 4 in cui troviamo: le culture tipicamente italiche dell’invecchiamento e del ruolo delle famiglie; le culturesanitarie, ancora sostanzialmente ospedalocentriche e con una visione centrata sulle acuzie; la inadeguatezza strutturale della copertura sociosanitaria territoriale; ecc. Tutto questo, che da tempo presenta evidenti segnali di crisi, con Covid-19 è come se si fosse imposto – a patto di volerlo vedere – all’attenzione di chi è chiamato a far sì che quei drammi sopra accennati non si ripetano. Non da oggi, infatti, sappiamo che siamo coinvolti in transizioni epocali. Da quelle demografiche (invecchiamento, semplificazione e assottigliamento dei modelli familiari, con progressiva minore capacità di cura); a quelle epidemiologiche (multicronicità e alta vulnerabilità a epidemie/pandemie); a quelle socioeconomiche (disuguaglianze sociali e generazionali); a quelle legate alla differenziazione della domanda (personalizzazione sempre più esigente); a quelle clinico-terapeutiche e tecnologiche (domotica, robotica, ambient assisted linving, ecc.), con il correlato della socializzazione al digitale (dal digital divide ai nativi digitali) anche per fasce adulte-anziane della popolazione; ecc. In un quadro di crisi economica cronica e di (relativo) contenimento della spesa pubblica per welfare, in particolare dalla crisi dei mutui subprime della seconda metà della decade scorsa, con la conseguente sua ristrutturazione a favore dei trasferimenti monetari e a scapito dell’erogazione dei servizi. Scelta, quest’ultima, condivisa dalle famiglie stesse, e quindi avente anche funzione di consenso (o di contenimento del dissenso) le quali, come dimostrato da diverse survey, chiedono soprattutto risposte monetarie, almeno fino a che sono in grado di svolgere quell’impressionante funzione di case management accettata/subita per retaggio culturale, e/o per le economie domestiche implicate, o per assenza di servizi appropriati, ecc. I dati sul numero e sulle condizioni delle assistenti familiari (badanti) parlano da soli.

8) Se le cose stanno effettivamente in questo modo, si può certamente rendere meno crudele (ma per chi?) la morte in tali strutture, ma non si può nascondere che la funzione svolta sia questa. Come uscirne? Solo qualche spunto per un percorso di ripensamento. Nel mare magnum dei diversi modelli, accreditamenti, dimensioni, collocazioni, ecc. delle Rsa italiane, credo si debba partire da una seria e indipendente analisi epidemiologica delle popolazioni assistite. Un modo «rigoroso e dignitoso» per rimettere al centro queste persone. Alla luce di ciò, è necessario stimare la tenuta del welfare familiare, della sua sostenibilità economica (la crisi economica decennale, a cui è da aggiungere quella da Covid-19, ha/avrà un pesante effetto di depatrimonializzazione delle famiglie) oltre che di care giving (vedi transizione demografica), così da prevedere l’impatto che la sua progressiva crisi potrà avere sulla domanda di residenzialità, e sul welfare pubblico (dai servizi domiciliari ai ricoveri ospedalieri), altrettanto colpito nella crisi economica (le previsioni sull’indebitamento pubblico non hanno bisogno di ulteriori commenti). Con questi due elementi, e alla luce dei dati economici generali previsionali di medio periodo, tenuto conto delle disuguaglianze crescenti e dell’impatto delle tecnologie assistive, oltre che delle possibili innovazioni nel campo della cura delle malattie degenerative, si tratterà di costruire scenari realistici (non parlo di narrazioni, ma dell’applicazione di una metodologia precisa, già in uso anche in sanità) verso cui tendere, individuando «senza ipocrisie» ciò che si vuole assolutamente garantire, ciò che si deve mantenere fino a che non si arriva alla sua auspicata sostituzione, ciò che si deve abbandonare.

9) Chiudo con una frase, che è anche un auspicio, a cui sono molto legato. J.M. Keynes la scrisse nell’inverno del 1935, nella presentazione della sua Teoria generale, testo guida per lo sviluppo socioeconomico e democratico post bellico: «La difficoltà non sta nelle idee nuove, ma nell’affrancarsi da quelle vecchie, le quali, per coloro che sono stati educati come lo è stata la maggioranza di noi, si ramificano in tutti gli angoli della mente». È quanto ci chiede Covid-19?

Fonte: 

 

1 in Quotidianosanità.it 23 aprile 2020; Hans Henri P. Kluge è direttore regionale dell’OMS per l’Europa,

2 Secondo la dinamica descritta da Zygmunt Bauman nel suo libro postumo “Retrotopia” (Laterza, 2017), a cui rinviamo. 3 Letteralmente: «eventi avversi di particolare gravità, che causano morte o gravi danni al paziente e che determinano una perdita di fiducia dei cittadini»; http://www.salute.gov.it/portale/sicurezzaCure/dettaglioContenutiSicurezzaCure.jsp?lingua=italiano&id=238&area=qualita&menu=vuoto. 4 «La locuzione è spesso presente nelle cronache parlamentari, nelle quali ci si occupa quotidianamente di norme che sono andate, vanno e andranno a interagire tra di loro. Poi, col tempo, si è sviluppato un significato estensivo che, in realtà, si focalizza sul nucleo di significato di ‘insieme di cose che si integrano, di solito in modo efficace (in senso positivo o negativo)», http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/domande_e_risposte/lessico/lessico_412.html.

 

Massimo Campedelli, sociologo, è professional affiliate dell’Istituto Dirpolis della SSSUP Sant’Anna di Pisa e direttore di UP Umanapersone, impresa sociale di Ricerca & Sviluppo, a cui aderiscono 10 cooperative sociali con sede in Toscana. Al centro della sua attività, di ricerca ed operativa, vi sono le evoluzioni dei e nei sistemi di welfare, sul lato dei bisogni/domande come su quello delle risposte/offerte. Una attenzione particolare è stata rivolta ai diritti di cittadinanza, alle dipendenze, alle non autosufficienze, alla programmazione sociosanitaria e alle imprese sociali.

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