Non ci sono dubbi che le epidemie sono espressione di uno stress ambientale e di un’alterazione dell’equilibrio tra l’uomo e il suo ambiente di vita.[1] Virus e batteri fanno parte dell’ambiente naturale così come l’uomo; nel nostro organismo convivono almeno 10 milioni di miliardi di microrganismi estranei, che hanno partecipato alla nostra evoluzione, contribuendo a dare forma al nostro sistema immunitario, fanno parte del nostro patrimonio genetico e della nostra vita di relazione col mondo esterno.[2, 3]
Per prevenire le malattie dobbiamo dunque considerare l’uomo e il suo ambiente nel loro insieme, agendo su quei fattori ambientali che sono modificabili, in quanto dipendono dalle nostre scelte. Ma quali sono le cause ambientali note delle epidemie su cui possiamo agire? Recentemente sono stati pubblicati diversi studi che hanno messo in relazione l’esposizione a inquinamento atmosferico e la diffusione del coronavirus, o la sperimentazione degli effetti più gravi della Covid-19.[4] Alcuni di questi [5] sono stati criticati per le carenze metodologiche sottolineando che “di motivi per ridurre le emissioni di particolato, o di gas climalteranti, ce ne sono già fin troppi; a prescindere dall’epidemia di Covid-19 dobbiamo ridurre l’inquinamento dell’aria e contrastare drasticamente il riscaldamento globale. Non occorrono teorie – non ancora dimostrate – che mostrino altri possibili pericoli legati al particolato (…)”.
Tra questi motivi ricordiamo che ogni anno a livello globale il solo particolato atmosferico è responsabile di un numero di decessi pari a circa 7 milioni. In Italia la mortalità prematura attribuibile a PM2.5, O3 ed NO2 è stata stimata in più di 80.000 casi/anno, senza considerare gli effetti di tutti gli altri inquinanti.[6] È altresì noto il nesso causale certo tra l’inquinamento atmosferico e molte malattie concausa di una situazione di gravità nella Covid-19 (cardiache, vascolari, respiratorie); l’azione deprimente il sistema immunitario ed il normale sviluppo della funzionalità respiratoria nei bambini[7]; l’aumento di rischio di patologie respiratorie e infezioni acute delle basse vie respiratorie particolarmente in soggetti vulnerabili, quali anziani e bambini.[8] Un’altra caratteristica dell’inquinamento atmosferico, e in particolare dei picchi dei livelli di inquinamento, è quella di causare un aumento di decessi prematuri proprio a carico della popolazione anziana e di sottogruppi di popolazione più vulnerabile in quanto affetta da una o più patologie croniche, la stessa popolazione più colpita da covid-19.[9]
Il fenomeno è noto come “effetto harvesting”.
Anche l’instabilità del clima e in particolare le ondate di calore e di freddo estremo possono avere impatti gravi in popolazioni potenzialmente più suscettibili[10]. Il freddo è associato a mortalità totale, cardiovascolare e respiratoria, incremento di accessi in Pronto Soccorso, ospedalizzazioni per asma e BPCO, anche in età pediatrica; il caldo a patologie cerebrovascolari, respiratorie, circolatorie, ischemiche del cuore, BPCO, aritmie, ridotta immunità locale, suscettibilità a virus respiratori e, nei soggetti anziani, aumentato rischio di trombosi arteriosa.[11,12] L’inquinamento atmosferico e la crisi del clima, 2 facce della stessa medaglia che si alimentano a vicenda, sono dunque le variabili su cui agire. Basti pensare agli effetti devastanti cui potremmo assistere nel caso in cui si verificasse un evento climatico estremo, come un’alluvione o un uragano o un incendio, in piena fase epidemica o un lungo periodo di siccità contestualmente al grande fabbisogno di acqua soprattutto in emergenza (anche lavarsi le mani diventerebbe un problema). Il WWF ha stimato che un aumento di temperatura di 2°C in Europa innalzerebbe il numero di persone colpito da carenza di acqua dalle attuali 85 milioni a 295 milioni soprattutto nei Paesi del Mediterraneo (Italia, Spagna, Grecia, Turchia, Cipro).
I cambiamenti climatici influenzano la diffusione geografica dei vettori (latitudine e altitudine), la stagionalità (periodi a rischio) e l’incidenza di malattia e gli eventi estremi possono influenzare l’occorrenza di epidemie di malattie infettive e l’intensità dell’evento.[13] La crisi climatica favorisce infatti la ri-emergergenza di agenti prima endemici nel nostro paese o l’arrivo di malattie esotiche trasmissibili come dengue, chikungunya, Zika, Febbre del Congo, febbre del Nilo etc. Già nel 2014 l’IPCC ha mostrato una mappa del rischio di trasmissione di Chikungunya in Europa generato dalla combinazione dei requisiti di temperatura idonei al virus Chikungunya e dall’idoneità del clima per il vettore del virus, la zanzara Aedes albopictus, mostrando come dagli anni ’60 l’Italia sta diventando sempre più adatta alla diffusione di questa malattia. I cambiamenti climatici colpiscono i serbatoi animali di virus influenzali e i modelli di migrazione degli uccelli e questo potrebbe diffondere i virus in nuove località e in una gamma più ampia di specie di uccelli.
Maggiori opportunità per gli agenti patogeni di diffondersi tra gli oceani derivano anche dal continuo scioglimento dei ghiacci marini. Ad esempio nell’Atlantico e nel Pacifico settentrionale è stata dimostrata un’associazione tra riduzione dell’estensione del ghiaccio marino artico ed esposizione e infezione da cimurro focale (PDV), che ha causato una vasta mortalità nelle foche dell’Atlantico ed è stato confermato nelle lontre marine nell’Oceano Pacifico del Nord nel 2004. [14] I cambiamenti climatici inoltre possono causare o rafforzare problemi di sicurezza durante tutte le fasi della produzione e fornitura del cibo, come la contaminazione microbiologica degli alimenti (per esesmpio, micotossine) o dell’acqua. La malnutrizione e la carenza alimentare secondarie alla riduzione dei raccolti provocata dai cambiamenti climatici potrebbero aggravare gli effetti delle malattie virali.
Alcune attività che causano inquinamento dell’aria e alterazioni del clima, come gli allevamenti intensivi di animali, sono state individuate come possibili cause dell’aumento di rischio di mutazioni nei patogeni e diffusione di nuove epidemie. La concentrazione di molti capi in spazi ridotti e l’alimentazione con mangimi che contengono antibiotici favoriscono una forte pressione selettiva su virus e batteri, che mutano velocemente verso ceppi e tipi più aggressivi anche verso la specie umana, come è avvenuto per l’influenza aviaria e suina.[15] Tra l’altro l’Italia è il Paese che ha il maggior numero di ceppi batterici antibiotico-resistenti, fenomeno assai sottovalutato e foriero di ulteriori drammatiche emergenze sanitarie.
Anche la deforestazione è tra le attività a maggior impatto ambientale e a rischio di favorire la diffusione di nuovi virus. Con lo spostamento dei confini urbani sempre più a ridosso delle foreste e l’inevitabile ridimensionamento dello spazio vitale per gli animali selvatici è stato agevolato il contatto tra questi e la specie umana, che da sempre ha condiviso il pianeta terra con gli animali selvatici ma mantenendo le giuste distanze. Senza considerare l’abitudine a catturarli e venderli in mercati caratterizzati sia da promiscuità tra diverse specie selvatiche sia da affollamento di esseri umani. Infine i modelli di urbanizzazione che si sono affermati e che hanno concentrato milioni di individui in periferie e in abitazioni senza i servizi minimi essenziali insieme alla globalizzazione, ovvero al frenetico movimento da una parte all’altra del pianeta di merci e persone, favoriscono poi il passaggio dalle epidemia alle pandemie.
Il futuro può dunque riservarci nuove pandemie virali più gravi di questa (pensiamo ai virus delle febbri emorragiche), superinfezioni da batteri resistenti ad ogni trattamento farmacologico, o eventi climatici estremi per i quali non sarà possibile né scoprire nuovi farmaci né mettere a punto vaccini. Siamo ad un bivio e possiamo cambiare il decorso della storia della salute pubblica solo attraverso la prevenzione di questi eventi drammatici, già previsti nel mondo scientifico e che potrebbero portare all’estinzione della specie umana sulla terra.[16]
Occorre cambiare rapidamente modello di sviluppo, finanziando una transizione totale verso le fonti energetiche rinnovabili, pensando nell’immediato ad un piano straordinario di disinquinamento del territorio e delle falde acquifere, messa in sicurezza delle infrastrutture esistenti (senza metterne in programma di nuove), messa in sicurezza sismica e dagli eventi estremi degli edifici ospedalieri e delle strutture sanitarie. Occorrerà inoltre impedire perentoriamente il consumo di nuovo suolo e scoraggiare e disincentivare le attività produttive che maggiormente contribuiscono alla crisi climatica come l’agricoltura e gli allevamenti intensivi o altri processi produttivi troppo inquinanti favorendo la loro conversione basata su un’economia circolare che rispetti l’ambiente e la biodiversità.
Anche la pianificazione urbanistica dovrà tener conto dell’esperienza di questa epidemia creando le condizioni per una diversa vivibilità delle città, basata su un’autosufficienza dei quartieri, con negozi di prossimità, a filiera corta e prodotti sostenibili. Puntare sulla bicicletta come mezzo principale per la mobilità investendo nella realizzazione di spazi per la mobilità pedonale e piste ciclabili e prevedendo mezzi pubblici per il trasporto urbano e interurbano poco inquinanti, più piccoli e molto frequenti. Incrementare parchi e giardini per dare più spazio ad una vita sana all’aperto. Sottoporre a valutazione dell’impatto sulle comunità e la salute qualsiasi nuova tecnologia per evitare di trovarsi domani con problemi sanitari di difficile soluzione. Un punto di riferimento importante è il piano Green New Deal ma si può andare oltre.[17]
Maria Grazia Petronio, Medico di sanità pubblica, Dipartimento di prevenzione, AUSL Toscana Centro
Bibliografia
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- Silvestri G. Uomini e virus. Storia delle grandi battaglie del nostro sistema immunitario. GEDI, 2020
- I quaderni de le Scienze n.8 Marzo 2020
- Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione: position paper Xiao Wu MS et al. Exposure to air pollution and COVID-19 mortality in the United States: A nationwide cross-sectional study. BMJ 05.04.2020
- Casarini S. et al. Inquinamento e Covid: due vaghi indizi non fanno una prova. Scienzainrete.it, 26.04.2020
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