La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”. Piero Calamandrei
Sarebbe stato bello che la fase 2 fosse iniziata il 25 aprile. I partigiani lottarono per dar vita a qualcosa di nuovo, che non sapevano che forma avrebbe potuto prendere. Anche per affrontare il coronavirus serve assumersi il compito della transizione a un sistema diverso. Serve l’impegno a diventare tutti partigiani (o almeno apprendisti) come ha ricordato Luciana Castellina.[1] Ma tutto questo avrebbe necessitato di una visione che le 70 pagine del Dpcm del 26 aprile u.s. neppure immaginano. Più semplice appellarsi alla più ovvia considerazione “prima o poi bisogna uscire” piuttosto che al diritto/dovere di libertà di Calamandrei o ancora al sintetico principio “siamo obbligati alla libertà” di Sartre. Ma pur trattando e condizionando la libertà individuale di tutti, il Dpcm è pensato per altro.
Sarebbe stato bello che la fase 2 fosse iniziata il 1° maggio: festa internazionale dei lavoratori. Ma anche per questo ci sarebbe voluto un altro sguardo. Eppure questo ottavo Dpcm è l’annunciazione della ripresa del lavoro. Non per tutti però. Sì perché la dolorosa pandemia a messo a nudo un mondo di ingiustizie e inuguaglianze dove i moderni lazzaretti (le RSA) sono solo una delle tragedie. Sin dal primo Dpcm di questo periodo pandemico è stato sancito un arbitrario parametro che mina profondamente i diritti fondamentali di chi poteva/può beneficiare di un lavoro: l’essenzialità dell’attività produttiva. Un parametro discrezionale, un nuovo determinante sociale, indefinibile per caratteristiche, ma comunque essenziale. Lavorare come cassiera al supermercato è lavoro essenziale, essere cassiera al cinema non è lavoro essenziale. Eppure le mansioni sono identiche, anche gli orari, la retribuzione, il settore… il distanziamento e l’uso dei DPI. In nome di un rischio che non è possibile precisare, si rinuncia a principi etici e politici (si rinuncia quindi alla libertà) per proteggere la libertà di tutti. Una norma falsa e contraddittoria.[2]
L’essenzialità non è un determinante che i legislatori e gli esecutori hanno sinora usato in modo efficace, efficiente ed equo: i LEA (livelli essenziali di assistenza) e i LIVEAS (livelli essenziali delle prestazioni sociali) ne sono un esempio. L’essenzialità dell’industria aerospaziale e della difesa (armi) e l’esonero della quarantena per gli addetti di questo settore produttivo è una conferma della discrezionalità d’uso dell’essenzialità. Ma che dire dell’esonero dalla quarantena dei tabaccai? L’aberrazione del criterio di essenzialità adottato è anche nell’aver considerato l’attività scolastica non essenziale: una conferma della cronica disattenzione per l’educazione, la formazione e la garanzia dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.[3] Insegnanti e studenti non usciranno per lavorare fino a settembre, una quarantena nazionale che per la scuola dell’obbligo, quella superiore e l’università accomuna tutte le Regioni. Unico elemento di unicità nazionale evidenziato in tempo di pandemia, quando i decisori locali cercano di smarcarsi dai regionali che a loro volta contrastano i nazionali, a colpi di “tavoli”, cabine di regia, task force. Ciascuno con la sua numerosa corte di esperti.[4] Eppure per la scuola, di ogni ordine e grado, ha prevalso una sorprendente (forse anche per questo inaudita) decisione di totale chiusura preventiva. In una realtà dove molti edifici scolastici non sono in sicurezza, in una nazione dove è stata (nel 2015) fissata la giornata (22 novembre) della sicurezza nelle scuole anche questo provvedimento sembra falso e contraddittorio.
Quello che ciascuno troverà, varcata la soglia della quarantena, è ancora un’incognita. La mancanza di una comune strategia che vada oltre al “distanziamento sociale” e alle mascherine dovrebbe preoccupare. Il virus è ancora circolante come la persistenza di nuovi casi, in particolare in Lombardia,[5] conferma, e per l’immunizzazione estensiva della popolazione c’è da attendere il vaccino. Le misure da prendere dovranno quindi essere differenziate se necessario secondo le condizioni locali e dovranno essere suffragate da un attento, appropriato e rigoroso monitoraggio nel tempo.[6] La mancanza di un piano operativo strutturato e ufficiale che metta in grado i dipartimenti di prevenzione di lavorare sul territorio per identificare e isolare le nuove infezioni non si improvvisa, evidenziando i limiti di un sistema sanitario che necessita di un profondo cambiamento strutturale, come anche la pandemia indica.[7] Un cambiamento in cui le comunità siano protagoniste delle politiche di prevenzione.[8]
La condizione di quarantena ha modificato profondamente le abitudini quotidiane di tutti, anche di coloro che vivevano con restrizioni o limitazioni già prima della pandemia, come i ricoverati nelle lungodegenze o nelle case di riposo, i disabili, i detenuti, i senza dimora.
L’uscita di casa per molti non sarà liberatoria, ma aggraverà la situazione in particolare per quelle famiglie che già vivevano sotto la soglia di povertà, per chi aveva un lavoro precario o era addirittura disoccupato, per chi era in lista di attesa per accedere da tempo ad un servizio psicosociale, per chi era in attesa di uscire dal carcere. Saranno tempi ancora più duri per quelle fragilità che si evidenziano maggiormente nelle realtà metropolitane.
Il Comune di Milano, per esempio, ha lanciato la sua “strategia di adattamento” per la ripresa individuando otto aree: traffico (regole che aggiornino le politiche sull’uso dell’auto), piste ciclabili (nuove piste ciclabili pronte entro la fine dell’estate), i quartieri (servizi e ambulatori a portata di pedone, essenziali di prossimità: entro un raggio di 15 minuti a piedi), il commercio (“open air”: bar, ristoranti e librerie su marciapiedi), i bambini (“summer school” in spazi aperti preferibilmente con verde attrezzato per momenti didattici e ludici), lo sport (“play street”, riapertura dei parchi e centri sportivi con monitoraggio degli ingressi e senza uso di spogliatoi e docce), internet (banda larga per tutti), l’urbanistica (“piazze tattiche” per adattare le infrastrutture alle nuove misure di distanziamento). Per quanto innovativo e ambizioso il piano si è dimenticato dei “fragili” e il rischio che le disuguaglianze nella comunità aumentino è molto probabile, ma non accettabile. Una ripresa rispettosa dei diritti dei cittadini dipende dalla capacità di fornire risposte differenziate e commisurate ai bisogni. Che i servizi siano più integrati e di prossimità. Che attraverso le relazioni, le compatibilità e soprattutto la reciprocità, si colga l’occasione per veder nascere una comunità rinnovata e più consapevole.[9] Questo sarebbe un uscire sapendo dove andare. Osservare norme e prescrizioni è doveroso, come è doveroso essere informati, ma bisogna difendere anche i propri desideri, piaceri, giochi. Quindi bisogna anche uscire. Un’azzardata offensiva con assunzione di una responsabilità collettiva: la Resistenza appunto.
Maurizio Bonati è responsabile del Dipartimento di Salute Pubblica, Istituto Mario Negri IRCCS, Milano
Bibliografia
- Castellina L. Attualità di quell’assalto al cielo. Il Manifesto, 25.04.2020
- Agamben G. Una domanda. Quodlibet.it 13.04.2020
- Editoriale speciale Covid-19. Ricordiamoci dei bambini e delle bambine e delle tante fragilità che ci stanno segnalando gli operatori. Gruppo di Lavoro per la Convenzione dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, 31.03.2020
- De Fiore L. Task force. Mai più senza. Ricerca&Pratica 2020; 36: 72-73
- Bonati M. Perché la Lombardia è un outlier: un’anomalia evidenziata dalla Covid-19. I Lombardi dalla prima all’ultima crociata. Ricerca&Pratica 2020; 36: 51-56
- Saracci R. La ripartenza: delle attività o dell’epidemia? Scienzainrete, 21.04.2020
- Maciocco G. Lettera aperta al Ministro della salute. Saluteinternazionale, 27.04.2020
- Saraceno B. Le comunità siano protagoniste delle politiche di prevenzione. Istituzione Gian Franco Minguzzi, 16.04.2020
- Colmegna V, Landra S, Maisto F, Tognoni G, Bonati M. Caro sindaco serve un welfare che includa i più fragili. Lettera aperta al Sindaco Beppe Sala. La Repubblica, 18.04.2020